lavori > contributi >  Il Sogno di Davide

Queste immagini sono anche sogni e potrebbero agevolmente essere decifrate a livello di significato, di iconografia, di inconscio. Ma forse non ne vale la pena, tanto più che, com’è nella più bella tradizione surrealista, l’effetto di estraniazione e la tensione poetica coincidono e insieme si « abitano » vicendevolmente; inoltre, e soprattutto, si tratta di sogni sognati: più precisamente della costruzione del sogno di un sogno. E più interessante considerarle sogni in un altro senso, nel senso per cui il vocabolo “sogno” quasi coincide col vocabolo desiderio. Allora, poiché si tratta di fotografia o, diciamo, di materiale fotografico manipolato in vista di un senso che infrange le regole fisse della tecnica, si può intendere che qui la fotografia sogna di diventare un’altra cosa, di scavalcare l’ambito del genere che essa costituisce e che le è prescritto dalla sua origine tecnica, dalla sua storia dal secolo scorso a oggi, e dalla sua precisa collocazione « sociale » nell’ambito dei mezzi di riproduzione e di alterazione del reale — detto per inciso, rende la fotografia il genere più pericolosamente esposto alle peggiori compromissioni. La fotografia non è mai stata neutra: mi viene in mente un dagherrotipo che effigia Schelling verso il 1830 e che ha una forza espressiva, quasi aggressiva, degna di un ritratto di Velasquez; Walter Benjamin, nella sua stupenda storia della fotografia, indugia, per esempio, nell’interpretazione dei ritratti fotografici di Kafka. Ma, insieme, la fotografia è passibile di un’estrema sofisticazione meccanica dell’immagine, praticamente illimitata, e ricordo una serie di fotografie di Mosconi che di una simile sofisticazione erano, nel male e nel bene, un esempio egregio. Forse, quando tocca un limite del proprio narcisismo tecnico, la fotografia vive una fase che è di tutti i generi espressivi quando si interrogano su se stessi perché hanno raggiunto una sindrome di saturazione nel rapporto, loro immanente, tra «discorso» e storia: il genere si sventra e tende a migrare da sé: il romanzo sogna la poesia o la matematica, la pittura diventa, per esempio, ambiente o grafia, la musica rimpiange e talora ritrova un puro rumore . Il sogno di Davide, il suo sogno di un sogno, è il segno di una simile trasmigrazione: la fotografia, sventrata, alterata, forma una zona da cui suggerire «sensi» che il suo fatalismo di genere le avrebbe vietato. Palesemente, qui, la terra nuova è la pittura: ma forse è dire troppo, specie in un periodo in cui la pittura tende ad assimilare la fotografia; forse, piuttosto, la terra nuova è il sogno di un senso dell’immagine non ricuperabile dal genere, libero.

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