lavori > contributi >  Il canto atmosferico del “diafono urlatore”

Davide Mosconi ha catturato (prima che fosse messo a tacere) il suono dei corni da nebbia, antichi sistemi di orientamento

 

Davide Mosconi è un compositore italiano non nuovo a operazioni concettuali di valore tanto provocatorio quanto espres­sivo. Di ritorno da un viag­gio in Camargue racconta di aver comprato lo strumento musicale più grande che sia mai stato costruito. Un cor­no da nebbia in disuso chia­mato dai francesi diaphone urleur, «diafono urlatore». E lo trasporta a Trieste per farlo restaurare quasi fosse uno Stradivari. Mosconi racconta anche come mai un homo metropolitanus, qual egli è, si sia potuto appassionare al suono e alla storia dei dia­foni.

Per secoli lungo il Canale della Manica in prossimità delle scogliere inglesi, sulle coste scozzesi all’altezza del Canale di San Giorgio, più su nel Mare d’Irlanda vicino all’Isola di Man e nel Canale del Nord (ma anche lungo i litorali di Germania, Francia e Portogallo) l’unico sistema di orientamento per la navi­gazione nei tratti di mare avvolti dalla nebbia è stato garantito da corni gigante­schi la cui voce è in via d’e­stinzione. Sparati nell’oscuri­tà e dosati a intervalli rego­lari, quei suoni erano in gra­do di supplire alla luce in­sufficiente dei segnali lumi­nosi. Per la loro funzione di complemento i corni veniva­no alloggiati nelle vicinanze dei fari. Il suono veniva pro­dotto da macchinari di gran­di dimensioni attivati attraverso notevoli masse d’aria compressa, ed era amplifica­to da megafoni di vaste pro- porzioni. L’energia fornita da motori diesel serviva a pompare l’aria nei serbatoi alla pressione atmosferica desiderata. A quel punto si metteva in moto un pistone di un metro di diametro che, attraverso un meccani­smo a stantuffo, in tutto si­mile a quello della sirena, generava il suono.

Gli strumenti — i diafoni — erano orientati verso il mare e il loro “canto” pote­va essere ascoltato fino venti, a volte trenta chilo­metri di distanza: le onde sonore, riflesse dalla superfi­cie del mare, venivano tra­sportate più lontano dalle particelle di umidità della nebbia.

Entro la fine del 1992 questo sistema di segnalazio­ne acustica marittima verrà disattivato e sostituito pro­gressivamente con un più moderno sistema di orienta­mento basato sui rilevamenti dei satelliti. Il suono dei cor­ni da nebbia non accompa­gnerà più la navigazione nei mari del Nord e si trasfor­merà in una piccola, ma si­gnificativa parte della cultu­ra materiale europea appar­tenuta a un passato glorioso, a figure eroiche di capitani, ai gesti quotidiani di pesca­tori e marinai.

E chi come Davide Mo­sconi sui corni da nebbia ha lungamente sperimentato, non poteva non dedicarsi al recupero di questa “voce” che si spegne lentamente.

Dice Mosconi: «Mi è sem­brato doveroso dedicarmi a questo bene che rischiava di estinguersi nella memoria della collettività». L’idea di registrare i suoni dei fari scozzesi, inglesi e irlandesi poco prima del loro definiti­vo silenzio, è nata dall’in­contro tra Davide Mosconi e Giulio Cesare Ricci, proprie­tario della Foné, una casa discografica italiana che si distingue per recupero di atmosfere originali, ottenute grazie a tecnologie sofisticate. Racconta Ricci: «Dopo lunghe trattative con la Ma­rina militare inglese, siamo riusciti a ottenere le autoriz­zazioni per registrare gli ul­timi canti dei diafoni. Ab­biamo raccolto centinaia di suoni battendo in lungo e in largo le coste anglosassoni. Determinante è stata la uti­lizzazione di microfoni spe­ciali progettati per la Nasa».

I due italiani, il musicista e l’esperto di registrazione, ponendosi a distanze diffe­renti dalle sorgenti sonore, hanno immaginato di trovar­si in un anfiteatro fantastico e di poterle ascoltare come da una mongolfiera posta al­l’altezza di cinquemila metri. E il singolare concerto otte­nuto dalla ricomposizione in studio dei singoli segnali re­gistrati si è trasformato in un documento irripetibile, di alto valore poetico, storico e musicale.

Affermano gli autori del­l’originale recupero: «L’inci­sione è stata intitolata Musi­ca dell’anno zero — Canto dei diafoni. Viene proposta al pubblico internazionale come una musica appartenu­ta a un territorio che diviene reperto attivo, un bene col­lettivo salvato e da conser­vare».

Il Canto dei Diafoni non è destinato a rimanere solo un concerto sui generis che può essere già ascoltato su compact disc, ma a trasfor­marsi in un progetto (pre­sentato recentemente alla Comunità economica euro­pea) che si propone come punto d’arrivo la realizzazio­ne di una pubblicazione ce­lebrativa che combini testi­monianze dirette, interviste, riproduzioni di stampe d’e­poca, quadri e passi letterari per preparare e accompagna­re l’ascolto. Non per mettere in discussione l’utilità dei sa­telliti e i meriti del progres­so, naturalmente, ma perché c’è chi ritiene privo di poe­sia un mondo nel quale non trova più spazio (e non rice­ve più omaggio) nemmeno la memoria di una tradizio­ne che scompare in silenzio, romanticamente.

 

Per IL SOLE-24 ORE, 25 ottobre 1992

 

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
 Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi